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La Bolivia e il calcio ad alta quota

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di Alberto Rossi

Nella sfida tra Bolivia e Uruguay, incontro valido per la nona giornata della fase a gironi di qualificazione ai mondiali in Brasile, per quanto riguarda il continente sudamericano, si è verificato, forse, il risultato più sorprendente tra le sfide delle varie nazionali di questa settimana. All’ Estadio Hernando Siles di La Paz, l’Uruguay di Cavani era alla ricerca di tre punti che avrebbero permesso ai campioni del Sudamerica di rimanere attaccati alle posizioni di vertice del girone e l’avversario, almeno sulla carta, non sembrava irresistibile. Ed invece, la Bolivia, ultima prima di questo incontro, ha surclassato l’Uruguay con un sonoro 4-1 grazie alla tripletta di Saucedo e al gol di Mojica. Inutile, per gli uomini di Tabarez, il gol di Suarez.

Questo esito, però, può stupire non più di tanto poiché è risaputo che le trasferte a La Paz sono vissute, dalle altre nazionali, quasi come una tortura. Infatti, nella capitale boliviana si gioca a più di 3600 metri di altitudine, e questo può creare non poche difficoltà per chi non è abituato a giocare in condizioni simili.

Tra i precedenti si ricorda sicuramente il clamoroso 6-1 che l’Argentina, allenata da Maradona, ha dovuto subire dalla formazione boliviana il 5 aprile 2009, nelle qualificazioni per il mondiale in Sudafrica. Anche in quell’occasione, seppure complice una prestazione disastrosa degli argentini, la fatica di giocare a quelle altitudini aveva influito sull’andamento della gara.

Qualche giorno fa, al quotidiano Il Mattino, ha parlato Eugenio Albarella, il preparatore atletico del Giappone di Zaccheroni, spiegando quali sono i rischi a cui si può andare incontro giocando partite in simili condizioni: “Le difficoltà sono molteplici perché si gioca in condizioni davvero estreme. A quelle altezze c’è rarefazione di ossigeno, un’aria diversa che non consente una normale ossigenazione del sangue e quindi c’è minore energia nei muscoli. Questo perché c’è una massima concentrazione di emoglobina nel sangue. L’organismo si abitua e pone rimedi in 30-40 giorni, ma in poche giornate è quasi impossibile rendere al massimo”. Le squadre ospiti, non essendo abituate a tali situazioni, secondo Albarella, rischiano “difficoltà respiratorie, ostacoli nel giocare ad alta intensità per 90′, con inevitabile crollo negli ultimi 20′ e una maggiore accumulo di tossine nei muscoli, che può durare anche più giorni del previsto”.

Inoltre, anche l’andamento del pallone sembra risentire delle elevate altitudini e tende ad assumere traiettorie a volte imprevedibili e velocità più elevate della norma.

Questo problema non è passato sotto l’indifferenza dei massimi organi calcistici. La Fifa si è subito mostrata sensibile alla questione e, per porre rimedio alle tante polemiche scaturitesi, il 27 maggio 2007 ha reso nota la decisione di vietare qualsiasi partita di calcio ad oltre 2500 metri di altezza. Il 27 giugno dello stesso anno, il limite massimo concesso dalla Fifa è stato corretto a 3000 metri per placare le proteste di Ecuador e Colombia, che con i loro stadi rientravano nel precedente divieto. Attualmente la Fifa ha concesso una deroga alla Bolivia, facendo giocare le gare casalinghe alla propria nazionale all’Hernando Siles fino al 2012, dopodichè dovrà trovarsi un nuovo impianto.

La Bolivia, dal canto suo, non ne vuol sapere di cambiare stadio e ne fa, ormai, una questione di principio ed orgoglio nazionale. Il culmine della protesta dello stato sudamericano si è verificato il 2 giugno 2007 quando il presidente boliviano, Evo Morales, e alcuni membri del suo governo hanno improvvisato una partita di calcio sulle Ande, a più di 5000 metri di altezza, per dimostrare come si possa giocare anche a quelle quote.

Il caso sembra destinato a far discutere ancora, con una nazionale che nelle partite casalinghe spesso riesce ad imporsi con risultati netti contro avversari più quotati ma che fuori dai confini ottiene raramente risultati eccezionali.